Un giorno Palmiro Togliatti chiese a un compagno dirigente del partito: “Quanto ha fatto ieri la Juve?”. L’interlocutore non seppe rispondere. Togliatti lo gelò: “Tu pretendi di fare la rivoluzione senza sapere i risultati della Juve?”. Questo piccolo aneddoto spiega l’attuale travaglio del Pd forse più di tante analisi apparse in questi giorni. Togliatti fu il capo, anzi il Capo, del Partito Comunista Italiano: che dell’attuale Pd – e quindi di quello che è nato dalla varie trasformazioni: Pci, Pds, Ds – è “La Ditta”, per usare la definizione di Pier Luigi Bersani. E forse non fu quel Migliore narrato dalla propaganda: ma Togliatti sapeva che la sua Ditta aveva dei dipendenti che coincidevano con i clienti. E cioè gli operai. Gli Agnelli, che erano allora – e di gran lunga – i più grossi industriali italiani, e quindi la quintessenza del “Padrone”, sapevano bene quanto era importante il calcio per il popolo: al punto che negli anni Settanta imbottirono la loro Juventus di calciatori meridionali per rendere orgogliosi i propri operai emigrati a Torino dal Sud. Dopo Togliatti ci fu Berlinguer, e la Ditta di quello continuava a vivere: della classe operaia. Quell’Italia è però sparita da un pezzo, forse già da quando Giorgio Bocca venne a Carpi per fare un reportage sulla “via emiliana al comunismo” e uno dei suoi intervistati gli spiegò: “La novità è che qui i capitalisti siamo noi comunisti”. Il Pci-Pds-Ds-Pd viene da una lunga storia di difesa degli “sfruttati”, come si diceva una volta: ma la storia cambia. Perfino la Juventus è un’altra cosa. E gli sfruttati oggi sono altri, che più facilmente votano Lega. Finita l’epopea delle masse operaie, al Pd sono rimaste battaglie civili – e borghesi – già fatte e già vinte, da un pezzo, dai radicali; e un elettorato di intellettuali e classe media. Resta anche, in posti dove si è governato a lungo, una tradizione di buona amministrazione, certo. Ma la crisi c’è, e non dipende da Zingaretti, dipende dal fatto che la Ditta non sa più quale sia la propria ragione sociale. Il Pci non era un partito con un’ideologia: era una chiesa con un suo dio. Oggi il mondo è cambiato – pure grazie ai comunisti, va detto – e in quel dio non v’è più bisogno di credere. Resta, in chi vi aveva creduto, quello smarrimento cantato anni fa da Gaber e balbettato oggi da un segretario amareggiato e dalle sue piccole, litigiose correnti.
Michele Brambilla, Quotidiano Nazionale (7/3/21)
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