Sono in molti a chiedere a studiosi, esperti, addetti ai lavori come sarà il mondo post-coronavirus. La risposta più corretta è che non esistono traiettorie obbligate e risposte certe perché tutto dipenderà, come sempre, da noi. Quel “noi” nella logica dell’economia civile non vuol dire, come spesso pensiamo quasi per un riflesso condizionato, dalle scelte di un leader quanto piuttosto dall’interazione combinata di meccanismi di mercato, istituzioni sovranazionali, nazionali e locali che faranno scelte più o meno illuminate, cittadinanza attiva e responsabile e i suoi comportamenti più o meno civicamente responsabili, imprese e organizzazioni di terzo settore. Le due domande più corrette da porre è in cosa siamo già cambiati durante questa crisi e quello che dovremmo fare per trarne la migliore lezione e costruire il migliore dei futuri possibili. (...) Ogni tragedia porta con sé delle opportunità. Questo è un tempo di kairos (tempo di opportunità) e un gigantesco esercizio di ritiro di massa che per due mesi ci ha costretti a ragionare sul senso della nostra esistenza. L’uomo è un cercatore di senso, prima che un massimizzatore di utilità. Paradossalmente, con l’impossibilità di partecipare alle celebrazioni domenicali, la domanda di senso religioso è aumentata e con essa l’audience delle messe televisive. Siamo stati costretti a una forzata esercitazione di lavoro a distanza. E abbiamo scoperto che lo smart work ci può rendere molto più “ricchi di tempo” ma anche che esso rischia di amplificare i divari digitali e le diseguaglianze. Quanto lo smart work funziona dipende dalla potenza della connessione domestica, dalla qualità dei nostri cellulari e pc e ovviamente dal comfort della casa in cui viviamo e dalla possibilità di mettere in piedi contemporaneamente tante postazioni di lavoro e studio domestico quanti sono i membri giovani o adulti della famiglia. La pandemia è stata uno stress test che ha evidenziato la fragilità del nostro modello di sviluppo. L’imperativo per il futuro si riassume nel concetto di “resilienza trasformativa”. Ovvero abbiamo bisogno di riformare il nostro modello di sviluppo rendendolo meno sensibile a shock pandemici e ambientali. Per far questo dobbiamo privilegiare tutte quelle scelte che ci consentono di aumentare la nostra capacità di creare valore economico rendendola però compatibile con tutte le altre dimensioni del benessere (dignità del lavoro, salute, sostenibilità ambientale, conciliazione vita-lavoro).
Leonardo Becchetti, L’Osservatore Romano (28/4/202)
Leonardo Becchetti, L’Osservatore Romano (28/4/202)
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