Domenica prossima si vota. Ma per che cosa? A giudicare dalla campagna elettorale, su tutto meno che sui temi europei. Sui rapporti tra politica e magistratura, sul riemergere dei fantasmi totalitari del Novecento (che solo un’Unione europea più forte può esorcizzare), sulle mille diatribe del cortile di casa nostra. Anche quando si parla di immigrazione sfugge la distinzione fra competenze comunitarie e responsabilità nazionali. Non è solo una questione di porti falsamente chiusi. Le tasse poi non le mette Bruxelles. Le clausole di salvaguardia sull’Iva ce le siamo inventate noi (e non questo governo). Il duello rusticano fra Cinque Stelle e Lega ha uno scopo interno: misurare, dopo il voto, i reciproci rapporti di forza. Peccato che questa resa dei conti avvenga su una ideale «zattera della Medusa» alla deriva continentale. A nessuno di loro viene in mente che l’Italia rischia di non contare più nulla. Pressoché assente nella coalizione dei partiti che probabilmente formeranno la nuova maggioranza a Strasburgo. Isolata nelle istituzioni comunitarie anche da quei Paesi — in parte rappresentati ieri nella piazza di Milano — ai quali soprattutto la Lega si sente affine. È il paradosso del sovranismo nostrano: fa di tutto per rafforzare la sovranità degli altri, non la propria. Del resto non poteva che essere così. Quello che sta accadendo è il risultato di una rappresentazione elettorale dell’Europa sorda, austera, a guida tedesca e a cuore «bancario» dalla quale ci si deve difendere allontanandosi, chiudendosi. E rinunciando così a migliorarla (e ne ha bisogno) pur sapendo che continuerà a regolare le nostre vite. (...)
Proviamo per un attimo a immaginare che l’Italia sia sola. Non appartenga né all’Unione europea né alla moneta unica. E, dunque, non abbia quel fastidioso limite del 3 per cento nel rapporto tra deficit e Pil. Salvo essersi persa, nel frattempo, i vantaggi dell’appartenenza al mercato unico, vitale per un Paese esportatore. Ma riuscirebbe a convincere i mercati a finanziare il suo debito? La Turchia ha la sovranità monetaria ma paga tassi anche superiori al 20 per cento. Moderazione e senso di responsabilità dovrebbero consigliare (anche prima, non solo oggi) di occuparci delle nostre fragilità finanziare. Seriamente. Cioè di essere sovranisti con il nostro debito. Il modo migliore per smontare l’accusa di essere «cicale» irresponsabili. Smettere così di raccontarci la favola che si possa curare il debito facendo più deficit. Nella speranza di avere una maggiore crescita che riduca il rapporto tra il debito e il prodotto interno lordo. Non ci è mai riuscito nessuno.
Ferruccio De Bortoli, Corriere della Sera (19/5/2019)
Proviamo per un attimo a immaginare che l’Italia sia sola. Non appartenga né all’Unione europea né alla moneta unica. E, dunque, non abbia quel fastidioso limite del 3 per cento nel rapporto tra deficit e Pil. Salvo essersi persa, nel frattempo, i vantaggi dell’appartenenza al mercato unico, vitale per un Paese esportatore. Ma riuscirebbe a convincere i mercati a finanziare il suo debito? La Turchia ha la sovranità monetaria ma paga tassi anche superiori al 20 per cento. Moderazione e senso di responsabilità dovrebbero consigliare (anche prima, non solo oggi) di occuparci delle nostre fragilità finanziare. Seriamente. Cioè di essere sovranisti con il nostro debito. Il modo migliore per smontare l’accusa di essere «cicale» irresponsabili. Smettere così di raccontarci la favola che si possa curare il debito facendo più deficit. Nella speranza di avere una maggiore crescita che riduca il rapporto tra il debito e il prodotto interno lordo. Non ci è mai riuscito nessuno.
Ferruccio De Bortoli, Corriere della Sera (19/5/2019)
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