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"L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!”. “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne avrete una traccia scritta".

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio (1871)

sabato 27 aprile 2019

Accidia

Che cos’è l’accidia?

È una parola difficile, poco presente oggi nel linguaggio corrente. Si tratta di una forma di pigrizia, ma anche di disperazione, di depressione. È un vuoto che si sente dentro, che ci paralizza, ci impedisce di essere in grado di affrontare la vita e di rispondere alla nostra vocazione. Questa mancanza di passione, di sensibilità può condurci fino all’indurimento dell’anima. È una malattia mortale. (...) Siamo in una società malata di depressione, nella quale non c’è un vero passato, un radicamento, una vera passione, e nella quale ci si chiede se valga la pena di agire. Ci manca la forza per impegnarci in una vita autentica. È un male che tocca in particolare le giovani generazioni. I giovani che incontro sono spesso caratterizzati da una mancanza di volontà, di convinzione. Ognuno non vorrebbe essere lì ma non riesce ad essere altrove. D’altra parte, siamo costantemente immersi nel rumore, ma la solitudine ci paralizza. È il segno che la situazione contemporanea è un attentato contro una vera umanità.

Ma nella nostra società siamo in permanenza collegati gli uni agli altri. Eppure, lei dice che l’accidia è un male attuale?

Basta andare al bar o al ristorante per vedere giovani di 18 anni, seduti insieme, ma ognuno davanti allo schermo del suo smartphone. Questo la dice lunga sulla solitudine in cui sono immersi, malgrado la loro apparente vita sociale. La vita contemporanea nega tutti i legami fruttuosi che esistevano tra gli uomini. Ormai, l’essere umano è un “uomo assoluto”, senza dipendenza dagli altri, senza legame. Ma in realtà, quest’uomo assoluto è più debole, perché incapace di essere protagonista della propria vita. Vive una sorta di disumanizzazione. Si fanno passi verso la barbarie. Ma incontro anche molti giovani che fanno grandi sforzi per trovare un senso alla loro vita, per aggrapparsi ad una speranza che li spinga a vivere. La società attuale non incoraggia questo, soprattutto in Occidente, dove i bisogni primari sono soddisfatti.

Enzo Bianchi (fondatore della comunità monastica di Bose), intervistato da Clémence Houdaille - “La Croix” del 22 aprile 2019

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