La realtà è ben diversa dal modello tetro e sepolcrale descritto nei Miserabili, conventi come il Petit-Picpus di Victor Hugo non esistono più da tempo e sempre più le monache di clausura mantengono contatti con il mondo esterno anche attraverso Facebook, Twitter e altri social network. Il che va bene, purché lo si faccia con misura: «Tali mezzi devono essere usati con sobrietà e discrezione, non solo riguardo ai contenuti ma anche alla quantità delle informazioni e al tipo di comunicazione», avverte la Santa Sede nell’Istruzione Cor orans dedicata alla vita contemplativa. Si tratta di «salvaguardare raccoglimento e silenzio», il rischio è «svuotare il silenzio contemplativo quando si riempie la clausura di rumori, notizie e parole».
Il testo della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata è l’applicazione normativa – rivolta alle 37.970 suore di clausura nel pianeta – della Costituzione Vultum Dei quaerere firmata da papa Francesco il 22 luglio 2016. Bergoglio parlava di «mezzi che possono essere strumenti utili» ma esortava ad un «prudente discernimento» perché non fossero «occasione di dissipazione o di evasione dalla vita fraterna in comunità».
E così, si legge ora, «le monache curano la doverosa informazione sulla Chiesa e sul mondo, non con la molteplicità delle notizie, ma sapendo coglierne l’essenziale alla luce di Dio». L’uso delle reti sociali può essere consentito «per motivi di informazione, di formazione o di lavoro». Essere «separate dal mondo» non significa essere fuori dal mondo ma rifuggire ogni «mondanità».Nei profili delle comunità di clausura, tra preghiere e descrizioni della missione, sono del resto rari, e motivati, gli interventi sulle vicende del mondo. Come il messaggio scritto su Facebook dalle Carmelitane di Hondarribia, nei Paesi Baschi. In Spagna ha fatto scandalo una sentenza per il caso di una ragazza stuprata da cinque uomini a Pamplona: il tribunale li ha condannati solo per «abuso», senza riconoscere «l’aggressione», come se non ci fosse stata violenza perché la vittima, atterrita, non aveva reagito. Così le monache del convento basco, in 26 aprile, hanno scritto: «Noi viviamo in clausura, portiamo un abito quasi fino alle caviglie, non usciamo di notte, non andiamo a feste, non assumiamo alcol e abbiamo fatto voto di castità. Questa è una scelta che non ci rende migliori né peggiori di chiunque altro, anche se paradossalmente ci renderà più libere e felici di altri. E perché è una scelta libera, difenderemo con tutti i mezzi a nostra disposizione (questo è uno) il diritto di tutte le donne a fare liberamente il contrario senza che vengano giudicate, violentate, intimidite, uccise o umiliate per questo».
Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera del 16/5/2018
Il testo della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata è l’applicazione normativa – rivolta alle 37.970 suore di clausura nel pianeta – della Costituzione Vultum Dei quaerere firmata da papa Francesco il 22 luglio 2016. Bergoglio parlava di «mezzi che possono essere strumenti utili» ma esortava ad un «prudente discernimento» perché non fossero «occasione di dissipazione o di evasione dalla vita fraterna in comunità».
E così, si legge ora, «le monache curano la doverosa informazione sulla Chiesa e sul mondo, non con la molteplicità delle notizie, ma sapendo coglierne l’essenziale alla luce di Dio». L’uso delle reti sociali può essere consentito «per motivi di informazione, di formazione o di lavoro». Essere «separate dal mondo» non significa essere fuori dal mondo ma rifuggire ogni «mondanità».Nei profili delle comunità di clausura, tra preghiere e descrizioni della missione, sono del resto rari, e motivati, gli interventi sulle vicende del mondo. Come il messaggio scritto su Facebook dalle Carmelitane di Hondarribia, nei Paesi Baschi. In Spagna ha fatto scandalo una sentenza per il caso di una ragazza stuprata da cinque uomini a Pamplona: il tribunale li ha condannati solo per «abuso», senza riconoscere «l’aggressione», come se non ci fosse stata violenza perché la vittima, atterrita, non aveva reagito. Così le monache del convento basco, in 26 aprile, hanno scritto: «Noi viviamo in clausura, portiamo un abito quasi fino alle caviglie, non usciamo di notte, non andiamo a feste, non assumiamo alcol e abbiamo fatto voto di castità. Questa è una scelta che non ci rende migliori né peggiori di chiunque altro, anche se paradossalmente ci renderà più libere e felici di altri. E perché è una scelta libera, difenderemo con tutti i mezzi a nostra disposizione (questo è uno) il diritto di tutte le donne a fare liberamente il contrario senza che vengano giudicate, violentate, intimidite, uccise o umiliate per questo».
Gian Guido Vecchi, Corriere della Sera del 16/5/2018
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