Il giornalista Domerico Quirico, forte della sua esperienza di inviato di guerra, in un suo editoriale sulla Stampa di ieri riassume alcuni aspetti peculiari dell’operazione missilistica di distruzione di alcuni centri di ricerca siriani (dove si producono le cosiddette armi chimiche) voluta da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Le forze occidentali hanno proclamato che l’intervento non ha provocato vittime. Russia e Iran pronunciano, invece, parole di dura condanna nei confronti dell’intervento. Si tratta di un’operazione sensata? Ci troviamo di fronte ad un atto di guerra che potrebbe provocare incidenti internazionali problematici per la pace mondiale? In ogni caso, come ci ricorda Quirico, si ha a che fare con una guerra che trasforma la nostra percezione della realtà poiché i missili cadono come in un set cinematografico. Una guerra-spettacolo che, al momento, non miete vittime, copre l’orrore ma svela il dramma della Siria: “Sotto il cielo, nero come prima della pioggia, soffi di luce rossa poi gialla lanciano illuminazioni livide in tutti i sensi, da un capo all’altro del visibile, sfilate di esplosioni simili a vulcani senza basi si alternano a catene scintillanti di traccianti, fuochi di artificio nelle nuvole, tovaglie avvelenate vaste come le vaste città, contro le quali nessun muro vale. Voilà: i missili dannunziani, sconciamente «bellissimi», di Donald Trump. Ecco: adesso il buio sta tornando, il fumo dei crateri sale placido, una raffica di vento accarezza le sagome degli edifici. Nulla sembra cambiato e noi non proviamo niente. Perché gli ordigni cadono senza rumore, verticalmente, come sonde rivolte verso quei bersagli vivi. Questa guerra trasforma la realtà umana in un carnevale bizzarro, che fa parte della nostra esperienza. Non ci fa girare la testa per l’orrore. Baghdad, due volte, e ora Damasco e le città siriane: le guerre, questo sono diventate per noi. Che semplicità spaventosa! La nostra pace non è stata minacciata da quelle luci che guardiamo sullo schermo, né allora né oggi. Gli aerei e i droni tornano indietro, soddisfatti di aver esercitato la loro giustizia, indifferenti a chi, e sempre qualcuno c’è, ha incespicato in quelle esplosioni, a chi è rimasto preso all’arpione, la bocca piena di sangue. La guerra fatta così rende il mondo comprensibile come un quadro in bianco e nero. Sospende il pensiero e soprattutto il pensiero autocritico. L’assenza, l’assenza degli uomini, e del loro destino sotto quelle letali meduse punteggiate di fuoco: ecco ciò che manca.
Segue la raccapricciante aritmetica dei soldati: operazione necessaria, cento missili lanciati, nessuna perdita per noi. E, si dice, nemmeno tra gli altri. Non indignatevi, suvvia. Non vedete? La morte non ha disturbato la vita. Stavolta. Già: e i cinquecentomila affogati nel sangue dei sette anni di guerra siriana? Allora l’orrore non dimostra davvero nulla? Non è su questa miserevole aritmetica di ferraglia che fonderemo una pace qualsiasi. A mancare qui è la chiave di un linguaggio. Ed è forse l’astuzia sottile di queste guerre, e dei loro mestatori, per ingannarci. Non dimostrano nulla, neppure le cause che dovrebbero giustificarle, si esauriscono in sé: immagini ma senza eco, spettacolo pirotecnico, cinema. Invece. È l’equivalente attualizzato della trasformazione dell’assassinio in mito eroico, la menzogna delle guerre antiche. Ma perché ci facciamo avvelenare da trucchi così grossolani?”.
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