La Catalogna si è dunque autoproclamata, in virtù di un referendum illegale
nella forma e dal risultato numerico a dir poco dubbio, Stato indipendente in
forma di Repubblica. È nata, sulla carta e per poche ore fino all’intervento di
Rajoy, una nuova entità sovrana nel cuore dell’Europa. Legittimo chiedersi come
si comporterà quest’ultima. Dopo non aver fatto nulla nel corso degli ultimi
mesi e settimane, farà qualcosa adesso? La prima reazione, dopo il voto di ieri
del Parlamento catalano a favore dell’indipendenza, sembrerebbe nel segno della
fermezza. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha fatto sapere –
tramite un tweet, come si usa adesso anche quando si tratta di affrontare una
crisi internazionale – che per l’Unione non cambia nulla e che «la Spagna resta
il nostro unico interlocutore». Ma dire che nulla cambierà non vuol dire che
nulla è cambiato. Sembra piuttosto il solito modo dell’Europa di chiudere gli occhi
dinnanzi alla realtà o di muoversi ma solo quando i buoi del proverbio sono
scappati dalla stalla.
La verità è che l’Europa in questa vicenda ha molte colpe, che ovviamente
tende a non confessare nemmeno a sé stessa. Potremmo persino dire, a costo d’apparire
eccessivi, che oggi si sta raccogliendo politicamente proprio quel che l’Europa
ha malamente seminato negli anni trascorsi. La mentalità che vige a Bruxelles
non è algidamente tecnocratica, come spesso si dice. Ma non c’è dubbio che le
ragioni della politica vengano spesso sacrificate ad un’interpretazione dei
fatti strettamente normativista e tecnico-legale.
Si spiega così ad esempio la neutralità che l’Europa ha ufficialmente mantenuto nella contesa tra Barcellona e Madrid (salvo timidamente fare il tifo per quest’ultima): l’argomento era che i Trattati impediscono all’Unione di intervenire nei problemi interni di uno Stato membro. Il che sarà anche vero sul piano formale, ma del tutto irragionevole sul piano appunto politico. (…)
Si spiega così ad esempio la neutralità che l’Europa ha ufficialmente mantenuto nella contesa tra Barcellona e Madrid (salvo timidamente fare il tifo per quest’ultima): l’argomento era che i Trattati impediscono all’Unione di intervenire nei problemi interni di uno Stato membro. Il che sarà anche vero sul piano formale, ma del tutto irragionevole sul piano appunto politico. (…)
In realtà per l’Europa è forse il momento di prendere una decisione. Non si
tratta tanto di concedere la propria solidarietà al governo spagnolo in quanto
considerato l’unico legittimo. E sperando che sia quest’ultimo da solo a
risolvere la crisi (mi raccomando, senza ricorrere alla forza). Si tratta di
una questione più grande e generale, che a questo punto va ben oltre il caso
spagnolo: cosa vuole diventare l’Europa nel prossimo futuro? Quello che la
vicenda catalana sembra annunciare è un coacervo di micro-nazionalità e di
micro-sovranità, destinate pericolosamente a moltiplicarsi nell’immediato
futuro, che Bruxelles potrà sperare di governare solo col pugno di ferro del
rigore finanziario e in una chiave di mero dirigismo burocratico. Francamente
non è una bella prospettiva. Avere giocato le autonomie territoriali e i
particolarismi territoriali contro gli Stati, invece di favorire un assetto di
questi ultimi autenticamente federale e pluralistico, come tale propedeutico ad
un’Europa anch’essa federale e plurale, non è stata francamente una grande idea
dal punto di vista politico. C’è solo da sperare che la crisi dei rapporti tra
Catalogna e Spagna, giunta ad un punto realmente drammatico e senza che nessuna
sappia al momento come potrà risolversi, serva all’Europa per avviare un
drastico esame di coscienza e un repentino cambio di rotta. Prima che sia
troppo tardi.
Alessandro Campi, il Mattino (28/10/2017)
Canzone del giorno: Everyone Else (2017) - London Grammar
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