Scarse, costose, estratte con metodi
inquinanti e in Paesi che calpestano i diritti umani. Le
materie prime dell’auto elettrica rischiano di riproporre gli stessi problemi
del petrolio. I primi segnali di allarme hanno cominciato a suonare, sia per il
litio, sia – in modo ancora più forte – per il cobalto.
I due metalli impiegati nelle batterie degli
autoveicoli (ma anche in quelle di computer e smartphone) sono divenuti oggetto
di speculazioni di ogni genere e i prezzi sono già decollati. Le minerarie si
sono scatenate nella ricerca di nuovi depositi e di capitali per svilupparli,
le case automobilistiche sono entrate in competizione per aggiudicarsi forniture
che temono possano presto rivelarsi insufficienti. E c’è persino qualche fondo
d’investimento che, fiutato l’affare, ha cominciato a fare incetta di cobalto.
(...) Investitori e minerarie hanno già preso nota da tempo, anche se è
impossibile prevedere con esattezza come evolverà il mercato del litio, del
cobalto e di altre materie prime impiegate nelle batterie, come la grafite, il
manganese o i meno “esotici” rame e nickel. Molto dipenderà dalla velocità di
adozione delle auto elettriche e dal mix tra veicoli elettrici puri e ibridi
plug-in. Inoltre c’è la variabile riciclo, oggi poco sfruttata, ma che in
futuro potrebbe diventare un’importante fonte aggiuntiva di metallo. Infine
bisognerà vedere quali metalli e in quali proporzioni saranno usati: si tratta
di tecnologie giovani, che potrebbero evolversi in modo inaspettato e
l’impennata dei prezzi di litio e cobalto sta già portando a fenomeni di
sostituzione, oltre che allo sviluppo dell’offerta.
Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore (9/8/2017)
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