Nel dicembre 2014 la Procura di Roma,
guidata da Giuseppe Pignatore, diede il via
all’operazione “Mondo di mezzo” che portò all’iscrizione nel registro degli
indagati 101 persone e all’arresto di 37 per associazione di tipo mafioso,
estorsione, usura, corruzione e altri reati.
Secondo l’accusa, quindi, esisteva un’associazione
per delinquere, definita “Mafia capitale”, che operava a Roma utilizzando
metodi “mafiosi”.
La sentenza di primo grado di qualche
giorno fa condanna i principali imputati ma fa cadere per loro l’accusa di
associazione mafiosa.
Per i giudici non si tratta di “mafia”
ma di criminalità organizzata.
Niente 416 bis e carcere duro per i condannati. A Roma la “mafia
romana” non esiste.
Scrive Mario Calabresi su Repubblica: “Quando ci si sente sollevati perché i Palazzi erano
infiltrati fino al midollo da un’associazione criminale che non può essere
definita mafiosa, allora si è perduti. Amare Roma
significa fare pulizia, non continuare a nascondere la spazzatura della
corruzione, del malaffare e della criminalità organizzata dietro una
rivendicazione d’orgoglio posticcio. Significa fare i conti davvero e fino in
fondo con una città che è diventata capitale dello spaccio di cocaina, in cui
il crimine controlla gangli economici vitali. Le sentenze si rispettano ma la
sensazione di sollievo che si è diffusa ieri sembra portare le lancette del
tempo molto indietro, a quegli anni in cui si negava la ‘ndrangheta in Piemonte
o in Emilia, in cui si scuoteva la testa indignati all’idea che i clan stessero
conquistando tutto l’hinterland milanese. E sappiamo quali danni abbiano fatto
decenni di sottovalutazione politica dei fenomeni mafiosi”.
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