Costanza
Rizzacasa d’Orsogna ci aiuta a riflettere, attraverso un suo articolo sul
Corriere della Sera, sull'approccio
contemporaneo alla lettura. La domanda che nell'era di Internet si si pone è
sempre la stessa: "Ma è
proprio vero che leggiamo meno?".
Una domanda complicata e piena d'insidie che racchiude più interrogativi che hanno a che fare con la soglia di attenzione dell'uomo internauta, con l'affermazione trionfale dei social network e con molti equivoco di fondo su come e quanto si legge. "Tutto questo ha un nome. Reading insecurity, l’insicurezza della lettura: l’ansia di non saper più leggere, di non assorbire, nell’era digitale, quanto un tempo. È dappertutto, e contagiosa". (...) La scienza acuisce il dubbio. Online non leggiamo ma scremiamo, dicono: i nostri occhi come scanner. «Leggiamo per informarci», come se valesse meno. Distratti da link, video e pop- up, ma anche email e social: un vortice di allettanti contenuti a portata di clic. Addirittura, a giugno, uno studio della Victoria University di Wellington, in Nuova Zelanda, suggeriva che Google ci rende stupidi. Atrofizzando la capacità di far domande e uccidendo la voglia di sapere. Mentre il fuoco di fila di stimoli estranei impedirebbe la costruzione della memoria a lungo termine".
La giornalista si chiede se tutto ciò sia vero. Se veramente tutto sia reso vago e effimero da Internet oppure stiamo idealizzando un mondo di grandi appassionati di lettura che non è mai esistito, anzi non si deve dimenticare che "Internet ha democratizzato la lettura: possiamo accedere quasi gratuitamente a infiniti documenti, un miliardo e più di siti. E con gli e-book portiamo con noi una biblioteca. Leggere più velocemente, poi, vuole dire poter leggere di più. Quanto impiegheremmo oggi per una ricerca se non ci fosse Internet? Non sarà, la nostra, mal riposta filosofia del sacrificio, che se non costa fatica poi non vale?"
Rispetto a tanti anni fa dedichiamo molte più ore all'interconnessione e tutto ciò significa, senza dubbio, minore tempo dedicato alla lettura dei libri. In realtà, però, ognuno di noi dedica più tempo alla lettura. Sembra una contraddizione ma la questione offre interessanti interrogativi.
Una domanda complicata e piena d'insidie che racchiude più interrogativi che hanno a che fare con la soglia di attenzione dell'uomo internauta, con l'affermazione trionfale dei social network e con molti equivoco di fondo su come e quanto si legge. "Tutto questo ha un nome. Reading insecurity, l’insicurezza della lettura: l’ansia di non saper più leggere, di non assorbire, nell’era digitale, quanto un tempo. È dappertutto, e contagiosa". (...) La scienza acuisce il dubbio. Online non leggiamo ma scremiamo, dicono: i nostri occhi come scanner. «Leggiamo per informarci», come se valesse meno. Distratti da link, video e pop- up, ma anche email e social: un vortice di allettanti contenuti a portata di clic. Addirittura, a giugno, uno studio della Victoria University di Wellington, in Nuova Zelanda, suggeriva che Google ci rende stupidi. Atrofizzando la capacità di far domande e uccidendo la voglia di sapere. Mentre il fuoco di fila di stimoli estranei impedirebbe la costruzione della memoria a lungo termine".
La giornalista si chiede se tutto ciò sia vero. Se veramente tutto sia reso vago e effimero da Internet oppure stiamo idealizzando un mondo di grandi appassionati di lettura che non è mai esistito, anzi non si deve dimenticare che "Internet ha democratizzato la lettura: possiamo accedere quasi gratuitamente a infiniti documenti, un miliardo e più di siti. E con gli e-book portiamo con noi una biblioteca. Leggere più velocemente, poi, vuole dire poter leggere di più. Quanto impiegheremmo oggi per una ricerca se non ci fosse Internet? Non sarà, la nostra, mal riposta filosofia del sacrificio, che se non costa fatica poi non vale?"
Rispetto a tanti anni fa dedichiamo molte più ore all'interconnessione e tutto ciò significa, senza dubbio, minore tempo dedicato alla lettura dei libri. In realtà, però, ognuno di noi dedica più tempo alla lettura. Sembra una contraddizione ma la questione offre interessanti interrogativi.
Canzone del giorno: The Book I Read (1977) - Talking Heads
Clicca e ascolta: The Book....
Costanza Rizzacasa d’Orsogna, Corriere della Sera del 1/11/2014
E’ il solito refrain. «Non riesco più a
leggere un romanzo», «ho la soglia di attenzione di un treenne», «ormai leggo
solo la timeline di Twitter». Succede soprattutto ai trentenni (e ai
quaranta-cinquantenni che si credono tali, ma questa è un’altra storia):
iperconnessi e però nati quando Internet non era ancora accessibile a tutti.
Un piede nella carta stampata e uno sul web, figli di nessuno. Rimpiangono
un’età dell’innocenza, di quando si perdevano per ore dentro i libri.
Ricordano pomeriggi mai esistiti passati sotto un albero a leggere Platone. Si
stava meglio quando si stava eccetera. C’è cascata, per tirarsela, anche il
ministro della cultura francese, Fleur Pellerin: «Non leggo un libro da due
anni».
Tutto questo ha un nome. Reading insecurity, l’insicurezza della lettura: l’ansia di non saper più leggere, di non assorbire, nell’era digitale, quanto un tempo. È dappertutto, e contagiosa. Tanto che da Spritz a Spreeder impazzano le app per migliorare la velocità di lettura e comprensione (la prima è anche preinstallata nel nuovo smartwatch Samsung).
La scienza acuisce il dubbio. Online non leggiamo ma scremiamo, dicono: i nostri occhi come scanner. «Leggiamo per informarci», come se valesse meno. Distratti da link, video e pop- up, ma anche email e social: un vortice di allet- tanti contenuti a portata di clic. Addirittura, a giugno, uno studio della Victoria University di Wellington, in Nuova Zelanda, suggeriva che Google ci rende stupidi. Atrofizzando la capacità di far domande e uccidendo la voglia di sapere. Mentre il fuoco di fila di stimoli estranei impedirebbe la costruzione della memoria a lungo ter- mine. «Siamo spugne davanti a un idrante pe- rennemente aperto», osservava David Carr sul New York Times. «Se Virginia Woolf aveva ragio- ne, e il Paradiso è un continuo infinito leggere — ha ironizzato Kathy Waldman su Slate — allo- ra ci hanno buttati fuori».
Ma è proprio così? Davvero Internet ha ucciso l’«ingaggio» profondo e prolungato con un testo? Davvero i pixel rendono le nostre idee vaghe ed effimere? Davvero passavamo sei ore con la testa dentro un libro, immuni alla tv e agli impegni quotidiani (e se è così, non era perfino un po’ infantile)? O non siamo nostalgici di un Eden che non è mai stato, di idealizzate maratone di lettura che in realtà facciamo oggi nel vivere online? Sembra, quest’ostentata nostalgia, la replica dello scontro medievale tra tradizione orale e scritta: dove saremmo oggi se avesse prevalso la prima? Chi rimpiange il papiro alzi la mano. «Certo che Internet sta ricablandoci il cervello — replica il Guardian a quanti sostengono che il web promuove l’ignoranza —. Si chiama ap- prendimento, gente». Tanto più che uno studio del Pew rivela come i Millennial leggano più libri delle generazioni precedenti. L’88%, negli States, ne ha letto uno nell’ultimo anno, contro il 79% degli over 30. Internet ha democratizzato la lettura: possiamo accedere quasi gratuitamente a infiniti documenti, un miliardo e più di siti. E con gli e-book portiamo con noi una biblioteca. Leggere più velocemente, poi, vuole dire poter leggere di più. Quanto impiegheremmo oggi per una ricerca se non ci fosse Internet? Non sarà, la nostra, mal riposta filosofia del sacrificio, che se non costa fatica poi non vale?
Così, se uno studio sul magazine Slate del columnist del New York Times Farhad Manjoo di- mostra come pochissimi sul web finiscano un articolo, i pezzi lunghi trovano nuova casa e culto online, non solo su siti specifici come Longreads.com. Proprio il New York Times ha vinto il Pulitzer per un progetto di 10mila e più caratteri che fonde testo, foto, video e mappe interattive (i deplorati collegamenti ipertestuali, che per- mettono all’utente di decidere per sé il livello di lettura), creando un’esperienza coinvolgente. E secondo il National Literary Trust, il 52% dei nativi digitali ha eguali capacità di concentrazione, di comprensione e di memoria dalla carta allo schermo.
Per non parlare delle migliaia d’iniziative so- cial dedicate alla lettura. Dal club della lettura online Goodreads, coi suoi 30 milioni d’iscritti (+10 % in un anno) e 34 milioni di recensioni, al- l’hashtag #unamoredilibro, che ha sbancato Twitter. Spopola il bookcrossing, condivisione gratuita di libri tramite tracciamento web, e grazie ai social network interagiamo come mai pri- ma con le case editrici (non a caso Sandro Veronesi ha presentato il nuovo libro ai blogger). Così, nei giorni scorsi, una maratona di 36 ore di lettura di Anna Karenina è diventata un fenomeno virale, con milioni di utenti che hanno segui- to su YouTube russi di tutto il mondo leggere le avventure dell’eroina di Tolstòj.
Tutto questo ha un nome. Reading insecurity, l’insicurezza della lettura: l’ansia di non saper più leggere, di non assorbire, nell’era digitale, quanto un tempo. È dappertutto, e contagiosa. Tanto che da Spritz a Spreeder impazzano le app per migliorare la velocità di lettura e comprensione (la prima è anche preinstallata nel nuovo smartwatch Samsung).
La scienza acuisce il dubbio. Online non leggiamo ma scremiamo, dicono: i nostri occhi come scanner. «Leggiamo per informarci», come se valesse meno. Distratti da link, video e pop- up, ma anche email e social: un vortice di allet- tanti contenuti a portata di clic. Addirittura, a giugno, uno studio della Victoria University di Wellington, in Nuova Zelanda, suggeriva che Google ci rende stupidi. Atrofizzando la capacità di far domande e uccidendo la voglia di sapere. Mentre il fuoco di fila di stimoli estranei impedirebbe la costruzione della memoria a lungo ter- mine. «Siamo spugne davanti a un idrante pe- rennemente aperto», osservava David Carr sul New York Times. «Se Virginia Woolf aveva ragio- ne, e il Paradiso è un continuo infinito leggere — ha ironizzato Kathy Waldman su Slate — allo- ra ci hanno buttati fuori».
Ma è proprio così? Davvero Internet ha ucciso l’«ingaggio» profondo e prolungato con un testo? Davvero i pixel rendono le nostre idee vaghe ed effimere? Davvero passavamo sei ore con la testa dentro un libro, immuni alla tv e agli impegni quotidiani (e se è così, non era perfino un po’ infantile)? O non siamo nostalgici di un Eden che non è mai stato, di idealizzate maratone di lettura che in realtà facciamo oggi nel vivere online? Sembra, quest’ostentata nostalgia, la replica dello scontro medievale tra tradizione orale e scritta: dove saremmo oggi se avesse prevalso la prima? Chi rimpiange il papiro alzi la mano. «Certo che Internet sta ricablandoci il cervello — replica il Guardian a quanti sostengono che il web promuove l’ignoranza —. Si chiama ap- prendimento, gente». Tanto più che uno studio del Pew rivela come i Millennial leggano più libri delle generazioni precedenti. L’88%, negli States, ne ha letto uno nell’ultimo anno, contro il 79% degli over 30. Internet ha democratizzato la lettura: possiamo accedere quasi gratuitamente a infiniti documenti, un miliardo e più di siti. E con gli e-book portiamo con noi una biblioteca. Leggere più velocemente, poi, vuole dire poter leggere di più. Quanto impiegheremmo oggi per una ricerca se non ci fosse Internet? Non sarà, la nostra, mal riposta filosofia del sacrificio, che se non costa fatica poi non vale?
Così, se uno studio sul magazine Slate del columnist del New York Times Farhad Manjoo di- mostra come pochissimi sul web finiscano un articolo, i pezzi lunghi trovano nuova casa e culto online, non solo su siti specifici come Longreads.com. Proprio il New York Times ha vinto il Pulitzer per un progetto di 10mila e più caratteri che fonde testo, foto, video e mappe interattive (i deplorati collegamenti ipertestuali, che per- mettono all’utente di decidere per sé il livello di lettura), creando un’esperienza coinvolgente. E secondo il National Literary Trust, il 52% dei nativi digitali ha eguali capacità di concentrazione, di comprensione e di memoria dalla carta allo schermo.
Per non parlare delle migliaia d’iniziative so- cial dedicate alla lettura. Dal club della lettura online Goodreads, coi suoi 30 milioni d’iscritti (+10 % in un anno) e 34 milioni di recensioni, al- l’hashtag #unamoredilibro, che ha sbancato Twitter. Spopola il bookcrossing, condivisione gratuita di libri tramite tracciamento web, e grazie ai social network interagiamo come mai pri- ma con le case editrici (non a caso Sandro Veronesi ha presentato il nuovo libro ai blogger). Così, nei giorni scorsi, una maratona di 36 ore di lettura di Anna Karenina è diventata un fenomeno virale, con milioni di utenti che hanno segui- to su YouTube russi di tutto il mondo leggere le avventure dell’eroina di Tolstòj.