«Una parola chiave di cui non dobbiamo avere paura
è 'solidarietà'». Papa Francesco lo ha sottolineato a chiare lettere durante
l’omelia per la celebrazione del Corpus Domini, esortando a «saper mettere a disposizione di Dio quello che abbiamo, le
nostre umili capacità, perché solo nella condivisione, nel dono, la nostra vita
sarà feconda, porterà frutto. Solidarietà: una parola malvista dallo spirito
mondano!».
Siamo
tutti un po’ mondani (cattolici e non) e, quindi, non sarebbe male riflettere
sul significato di un termine che produce sensazioni contrapposte.
Per
molti la solidarietà rappresenta un vera e propria virtù che
lega ogni essere umano al contesto di appartenenza.
Per
altri, invece, è soltanto una buona intenzione da sbandierare nelle occasioni
opportune.
Accade
così che quella che dovrebbe essere un’azione solidale si tramuti in un gesto
che assume, spesso, le sembianze di qualcosa che ha a che fare più con una
bieca elemosina ovvero con un momento di elargizione (di denaro, di promessa o
di favore) che è condizionato dall’attesa di un contraccambio.
Nel
primo caso si tratta di quei pochi spiccioli che, quasi distrattamente, vengono
dati al mendicante.
Nel
secondo caso l’atteggiamento del pseudo-filantropo di turno nasconde un
atteggiamento che alla fine si trasforma in una futura (eventuale?) possibilità
di proprio tornaconto. Non un gesto gratuito e, quindi, d’amore per il prossimo,
ma una condizione per salvaguardare future evenienze a proprio favore.
Oggi do
una cosa a te e, in un domani prossimo (anche elettorale, ad esempio), tu darai
una cosa a me (il tuo voto, ad esempio).