Notti di paura e di dolore per migliaia di emiliani.
Scosse di terremoto senza fine che
hanno generato morti, feriti e un numero considerevole di sfollati.
Sono crollati vecchi edifici e chiese.
Quando la terra trema lo sconforto e
il terrore predomina, anche se è corretto porsi degli interrogativi
e puntare l’attenzione sui rischi sismici del nostro paese che, come al solito,
sono noti ma vengono ignorati.
Necessiterebbe una maggiore
consapevolezza sui rischi che corriamo, compreso chi vive in territori
non considerati di massima allerta sismica.
«Il
rischio»,
scrive Mario Tozzi su La Stampa «si
accresce non per colpa della natura o della geologia, ma solo ed esclusivamente
per colpa nostra, che non vogliamo fare i conti con il rischio naturale
quotidiano, accresciuto dal nostro moltiplicarci e dall’accrescersi delle
nostre esigenze».
Gian Antonio Stella su Il Corriere
della Sera, rincara la dose sui comportamenti sociali e politici nel nostro
paese poiché «è inaccettabile
che davanti alle vittime e alle macerie del terremoto ferrarese, non potendo
più incolpare draghi ed ebrei, si parli ancora di tragica e imprevedibile
fatalità. (...)Siamo un Paese ad alto rischio. Forse più di tutti per la
densità abitativa e il patrimonio storico, monumentale e artistico di cui siamo
(forse immeritatamente...) custodi. Altri fisserebbero norme edilizie
rigidissime e farebbero regolari corsi d'addestramento per i cittadini e
lezioni in classe per i bambini fin dalla materna. Noi no. Da noi gli ascensori
salgono dal piano 12° al 14°, gli aerei non hanno la fila numero 13 e chi ha
abusivamente costruito in zone pericolose invoca il condono e meno lacci e
lacciuoli antisismici».
Canzone del giorno: Danger Zone (2009) - Great White
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“L’Italia del mattone va ripensata” di MARIO TOZZI da La Stampa del 21 maggio 2012
Quando furono impiccati, ai patrioti risorgimentali di quella che sarebbe diventata l’EmiliaRomagna veniva anche imputata la colpa di aver scatenato i terremoti che nel 1831-1832 sconvolgevano la regione. A salvare Ciro Menotti sarebbe bastata un po’ di memoria o di lettura di cronache: già nel 1831 a Parma e Reggio Emilia vennero giù comignoli, muri, tegole e calcinacci.
Erano terremoti del VII-VIII grado della scala Mercalli, ma potevano arrivare al X, come furono intensi quelli del 1811, del 1810, del 1806 e quello del 1732, quando di moti non se ne parlava nemmeno. E non erano certo i primi terremoti di cui si conservasse memoria storica: molti morti avvennero nel Forlivese già nel 1279 e ancora vittime e distruzione nel 1688. Altro che inaspettati.
Oggi dovremmo essere consapevoli che quella fetta di pianura padana è a rischio sismico, anche se il pericolo non è eccessivo, se paragonato a quello di Messina o di Catania. Dal 1600 a oggi nella zona si sono registrati oltre 22 terremoti di rilievo. Il Ferrarese era considerata pericoloso già da tempo, tanto che Francesco IV d’Este concesse diversi finanziamenti straordinari, ma impose che i proprietari di case dovessero cavarsela da soli. Non solo: avevano anche l’incombenza di abbattere i comignoli pericolanti e ripulire le strade dalle macerie; ai meno abbienti avrebbe pensato, invece, un fondo di beneficenza. Eppure non pensiamo a questo come un territorio sismico e magari vogliamo imparentare questo sisma con quello de L’Aquila (comunque più distruttivo in quanto a forza). In realtà è un terremoto piuttosto simile a quello umbro-marchigiano del 1997: magnitudo simili (5,9 in quel caso), scosse di replica forti, praticamente lo stesso numero di vittime, identica situazione rurale fatta di piccoli centri abitati e importante patrimonio storico-monumentale in pericolo. La geologia è diversa e qui saremmo in pianura, ma bisogna abituarsi a pensare che nel sottosuolo padano c’è sempre una dorsale montuosa (quella ferrarese) che cerca il suo assestamento in tempi lunghissimi.
È però forse ora di stabilire una differenza che in Italia si sta imponendo rispetto ai terremoti e al rischio naturale in generale. C’è un’Italia chiaramente identificata come sismica che tutti conoscono bene: la dorsale appenninica, la Sicilia, la Calabria e la Campania, vengono giustamente considerate le zone di massima allerta. Poi c’è un’Italia di seconda fascia del rischio che, siccome densamente abitata e spesso dotata di un patrimonio costruttivo di rilievo, ma spesso non manutenuto, può subire vittime e danni anche per terremoti di entità media. Questo vale anche per le alluvioni: chi ci mette in salvo da tutti quei piccoli fiumi soggetti alle bombe d’acqua? Questa Italia di seconda fascia è più pericolosa della prima, soprattutto perché non te lo aspetti e perché bastano eventi di piccola entità per fare danni rilevanti. Insomma il rischio si accresce non per colpa della natura o della geologia, ma solo ed esclusivamente per colpa nostra, che non vogliamo fare i conti con il rischio naturale quotidiano, accresciuto dal nostro moltiplicarci e dall’accrescersi delle nostre esigenze.
Ora speriamo che il parallelismo con il terremoto umbro-marchigiano del 1997 finisca qui e non ci siano scosse di replica forti come la prima (o addirittura più violente, come avvenne in quel caso). Magnitudo 6 Richter dovrebbe essere la massima possibile per quella regione. Ci aspettiamo, comunque, settimane di repliche e notti insonni prima di tornare a prendere possesso delle case e iniziare a ricostruire. Sarebbe bene però mantenere viva la memoria, e muoversi di conseguenza: perché questa è la situazione tipica di gran parte del territorio nazionale, quella che conferisce un’identità paesaggistica all’Italia. Solo tre città superano il milione di abitanti, tutto il resto è fatto di Comuni piccoli e frazioni sparse per le campagne ormai antropizzate. In questa Italia ci sono i centri storici medievali, rinascimentali e barocchi insieme con i capannoni industriali. Mettere mano ai primi con limitati interventi può bastare, mentre i secondi vanno progettati con criteri antisismici, altrimenti farli d’acciaio non basterà. Il resto è un problema di cultura del rischio naturale. Ma non sembra in cima alle preoccupazioni della politica.
"Le fatalità prevedibili", di GIAN ANTONIO STELLA da Il Corriere della Sera del 21 maggio 2012
L'altra volta, quando venne giù mezza città e dappertutto era pieno di morti e perfino il duca Alfonso II d'Este e la famiglia dovettero accamparsi «come zingari» nel cortile della reggia, i ferraresi accusarono quel menagramo del gabelliere e il pittore Helden disegnò sulle rovine un drago fiammeggiante e il papa Pio V ci vide la punizione di Dio per la protezione accordata agli ebrei.
Qualche secolo dopo, però, è inaccettabile che davanti alle vittime e alle macerie del terremoto ferrarese, non potendo più incolpare draghi ed ebrei, si parli ancora di tragica e imprevedibile fatalità. Certo, i nostri avi li fecero bellissimi ma fragili, quei campanili e quelle rocche che ieri si sono sgretolati aggiungendo dolore ai lutti per le vite umane. Non avevano gli strumenti, le tecnologie, i materiali di oggi per reggere l'urto di un sisma. Ma proprio a Ferrara, dopo il devastante terremoto del 1571, ricorda centroeedis.it , l'architetto Pirro Ligorio, successore di Michelangelo alla Fabbrica di San Pietro, progettò la prima casa antisismica. E se con strazio possiamo accettare il collasso di certe residenze antiche, non possiamo rassegnarci al crollo di palazzine e capannoni ed edifici vari tirati su, nel Ferrarese come altrove, in tempi recenti.
Perché noi sappiamo esattamente quali sono le aree a rischio, già colpite in passato e fatalmente destinate a esserlo ancora. I sismologi storici del gruppo di Emanuela Guidoboni hanno contato negli ultimi cinque secoli, in Italia, 88 disastri sismici dagli effetti superiori al 9° grado della scala Mercalli, cioè più gravi di quello abruzzese. Fate i conti: uno ogni cinque anni e mezzo. Catastrofi che hanno causato complessivamente, solo dall'Unità a oggi, oltre 200 mila morti e danni pesantissimi.
Siamo un Paese ad alto rischio. Forse più di tutti per la densità abitativa e il patrimonio storico, monumentale e artistico di cui siamo (forse immeritatamente...) custodi. Altri fisserebbero norme edilizie rigidissime e farebbero regolari corsi d'addestramento per i cittadini e lezioni in classe per i bambini fin dalla materna. Noi no. Da noi gli ascensori salgono dal piano 12° al 14°, gli aerei non hanno la fila numero 13 e chi ha abusivamente costruito in zone pericolose invoca il condono e meno lacci e lacciuoli antisismici. Come se già due secoli e mezzo fa Jean-Jacques Rousseau, dopo il terremoto di Lisbona, non avesse sottolineato amaro: «Non è la natura che ha ammucchiato là ventimila case di sei-sette piani».
Siamo un Paese ad alto rischio. Forse più di tutti per la densità abitativa e il patrimonio storico, monumentale e artistico di cui siamo (forse immeritatamente...) custodi. Altri fisserebbero norme edilizie rigidissime e farebbero regolari corsi d'addestramento per i cittadini e lezioni in classe per i bambini fin dalla materna. Noi no. Da noi gli ascensori salgono dal piano 12° al 14°, gli aerei non hanno la fila numero 13 e chi ha abusivamente costruito in zone pericolose invoca il condono e meno lacci e lacciuoli antisismici. Come se già due secoli e mezzo fa Jean-Jacques Rousseau, dopo il terremoto di Lisbona, non avesse sottolineato amaro: «Non è la natura che ha ammucchiato là ventimila case di sei-sette piani».
Sapete come si intitola un lavoro recentissimo della Guidoboni? «Terremoti a Ferrara e nel suo territorio: un rischio sottovalutato». Vi si spiega che, al contrario di quanto pensavano nel Medioevo, anche sotto la pianura più piatta possono esserci faglie capaci di dare scossoni tremendi e che l'area colpita ieri nell'ultimo millennio aveva contato già 22 «botte» più o meno gravi «eppure quanti sono i cittadini di Ferrara e della sua provincia ad avere percezione della pericolosità sismica dell'area in cui abitano?». Per mesi e mesi gli amministratori locali erano stati martellati: occorre un progetto per affrontare il tema. Risposte? Sorrisi. Ringraziamenti. Rinvii. Perché parlarne se porta iella?