Liberation Day: e se fosse il resto del mondo a liberarsi degli Stati Uniti? C'era una volta un'America che guidava il mondo. Poi arrivò Trump. E con lui, una serie di decisioni che sembrano uscite da un manuale di autodistruzione economica. Con la genialata dei dazi, il presidente sta regalando agli Stati Uniti un nuovo motivo di deficit: quello cognitivo. Abbiamo assistito a deficit commerciali, deficit di bilancio, e ora il deficit di logica si unisce al club. Trump sembra credere che l'economia sia un gioco a somma zero, che chiudere le porte all'importazione possa magicamente riportare indietro la manifattura e l'occupazione, e che i dazi siano un'arma a senso unico. Peccato che funzioni al contrario. I dazi sulla componentistica dell'automotive, per esempio, colpiscono pesantemente le case americane, che vedranno i costi salire e la competitività scendere. Geniale, vero? Prendiamo un altro esempio: il paese più penalizzato dai dazi è il Vietnam, dove Nike realizza oltre il 50% delle scarpe da destinare al mercato. The Donald non ha chiaro il concetto di interdipendenza economica, che contraddistingue (in modo indelebile) il mondo di oggi. Le tariffe non riporteranno neppure la manifattura negli Stati Uniti. Trump sta infatti creando un vuoto di credibilità, che non incoraggia investitori stranieri ad aprire insediamenti produttivi negli Usa. Ed è proprio qui che il danno può diventare irreparabile. Gli investitori non amano l'incertezza e il protezionismo crea esattamente questo: un contesto instabile, dove fare affari diventa un salto nel buio. Proprio questo deficit di credibilità potrebbe portare gli Usa a perdere l'esorbitante beneficio di essere valuta di riserva del mondo. Secondo Goldman-Sachs, il rischio di recessione nei prossimi mesi è aumentato dal 20% al 35%, e per J.P. Morgan potrebbe arrivare fino al 40%. L'analisi Bloomberg sostiene addirittura che questa potrebbe essere la prima recessione direttamente causata da politiche economiche della Casa Bianca. Secondo dati della Federal Reserve Bank di Atlanta, la crescita del Pil statunitense è già calata del 2% a seguito dell'insediamento di Trump a gennaio 2025, mentre il trade deficit è aumentato del 34% nello stesso periodo. E la spesa dei consumatori? In calo dello 0,2%, segno che la fiducia nell'economia sta evaporando. E poi c'è il capitolo geopolitico, perché Trump non si sta solo facendo del male da solo, ma sta anche facendo il gioco della Cina. La sua strategia dei dazi sta unendo il resto del mondo contro gli Usa lasciando spazio libero a nuovi accordi di libero scambio: negli ultimi giorni addirittura Pechino, Tokyo e Seul hanno condiviso propositi in tal senso. Con la brillantezza di un giocatore di scacchi che non vede oltre la prima mossa, sta spingendo gli alleati storici americani verso nuove alleanze, dove l'influenza di Washington si dissolve come neve al sole. Le tariffe di Trump sono le più alte imposte da un governo statunitense negli ultimi 90 anni e, secondo le analisi, danneggeranno - lo ribadisco - proprio l'industria manifatturiera che avrebbero dovuto proteggere. L'aumento dei costi degli input, il caos nelle catene di approvvigionamento e i prezzi finali più alti penalizzeranno produzione e occupazione. Il Canada ha già avviato un boicottaggio dei prodotti americani, con il 98% dei consumatori che preferisce prodotti locali. L'Australia ha stanziato un miliardo di dollari per supportare le sue aziende nell'esplorare nuovi mercati. L'America sta rapidamente perdendo rilevanza internazionale, proprio mentre la Cina si prepara a riempire il vuoto. E così, mentre si festeggia il Liberation Day, possiamo dare un'interpretazione più ampia al concetto di liberazione. Non solo celebriamo la libertà dalle dittature del passato, ma anche la prospettiva di un mondo che si libera da un protezionismo miope e suicida. Trump voleva rendere l'America grande di nuovo. Sta solo rendendola più sola, più debole e più in crisi. E mentre lui insiste con la sua retorica da guerra commerciale, l'economia reale soffre. Le imprese americane vedono ridursi i mercati di sbocco, le filiere produttive subiscono interruzioni e i costi si impennano. La verità è che nessun paese è un'isola e chiudersi al mondo significa autocondannarsi all'irrilevanza. Un capolavoro di autolesionismo, firmato Donald J. Trump.
Giuliano Noci, Il Sole 24 Ore (4/4/2025)