Nell’età di Internet lo spionaggio viaggia attraverso i supersilenziosi archivi informatici dove ciascuno di noi ha depositato i propri dati sensibili: conti bancari, informazioni sanitarie, fiscali, previdenziali ed e-mail. Non è più necessario origliare i discorsi, come avveniva all’epoca in cui il tiranno di Siracusa, Dionisio, usava il cosiddetto “orecchio” per ascoltare i discorsi dei prigionieri e carpirne i segreti. L’evoluzione tecnologica fa sì che ciascuno di noi lasci evidenti e continue tracce di sé in ogni luogo dove passa, e i luoghi non sono più quelli fisici, bensì immateriali, che raggiungiamo con il computer, lo smartphone, i tablet, le carte magnetiche e altri strumenti similari. Là vige il silenzio dei dati, composti da stringhe digitali o da serie di algoritmi che, a differenza di noi stessi, parlano e raccontano in modo neutrale e asettico i nostri possibili segreti. Se anni fa il nome dell’orecchio elettronico era Echelon, mitica centrale d’ascolto e registrazione di tutto, oggi non è più necessario evocare centri sovranazionali per catturare notizie e informazioni, ma basta una società tutta italiana d’investigazioni che recherebbe, a quanto riferiscono i magistrati, il nome di “Equalize” la cui traduzione è: “pareggiare, uguagliare”. Il tema della sicurezza è antico come l’umanità, se anche Jhavè ascolta quello che fanno e dicono Adamo ed Eva nell’Eden, come scrive il musicologo e filosofo francese, Peter Szendy, in Intercettare. Estetica dello spionaggio (Isbn edizioni). Certo in una epoca d’avanzata secolarizzazione nessuno pensa più che un essere sovrannaturale ci stia ascoltando, e tuttavia l’orecchio delle spie è divinamente onnipresente. Ma più che di orecchio dovremmo parlare di occhio, visto che i dati sensibili sono più letti che ascoltati; […] L’effetto della digitalizzazione dei dati che ci riguardano avviene in un contesto, la Rete, multidirezionale. Persino i sondaggi, le inchieste campione, i dati raccolti in modo palese, oltre che occulto, dicono molto di tutti noi, anche se non sempre identificano la singola “voce” di chi parla. Siamo immersi in una condizione dove la sicurezza — il cui etimo è “guardarsi dietro” — appare un elemento difficile da garantire in modo totale. Tutto questo si mescola con la tendenza degli esseri umani ad ascoltare. Mossi da una curiosità spasmodica, alimentata anche dall’orizzontalità dei media moderni, tutti ascoltano, o vorrebbero ascoltare, la vita degli altri, naturalmente senza capire che tutto è insieme assolutamente reciproco. La spia perfetta, al di là e al di sopra d’ogni intercettazione, non esiste più. L’informazione è da tempo la moneta di scambio più preziosa, il cui valore economico non è più legato al denaro, ma alla possibilità di usare l’informazione stessa come valuta. […] Come potremo difenderci dalla società dell’“ascolto totale” in cui viviamo? Non è facile. Non ci è riuscito nessuno, neppure Unabomber, isolato senza telefono e cellulare in una capanna nel Montana. Come ha scritto il fondatore della moderna sociologia Georg Simmel in suo saggio del 1906: “Un segreto noto a due persone non è più un segreto”. La lotta per il segreto è cominciata da un po’, e presumibilmente è senza fine.
Marco Belpoliti, Repubblica (27/10/2024)
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