Probabilmente si è trattato di un effetto “goccia fredda”, una massa d’aria che si è separata dal flusso globale delle correnti che si muovono da Ovest verso Est e, questa volta, è atterrata in Spagna. Una prossima volta potrebbe investire l’Italia, un’altra la Turchia. Quello che è certo è che si tratta di una perturbazione meteorologica a elevatissima energia, come quelle che dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro, segnati come siamo da una crisi climatica senza precedenti. Il maggior contenuto energetico rispetto alle perturbazioni del passato spiega il fatto che in sole otto ore sia caduta, a Valencia, la stessa quantità d’acqua che, normalmente, cadeva in dodici mesi. Ma è l’avverbio “normalmente” che deve ormai essere abbandonato, in un contesto in cui non c’è più nulla di normale, se inteso come la regolarità di un certo tipo di clima a certe latitudini, il regolare alternarsi delle stagioni come le conoscevamo un tempo. Per questo ha pochissimo senso continuare a confrontarsi con il passato più lontano e si deve, invece, prendere come riferimento cosa è accaduto negli ultimi venti o trent’anni. La ricorrenza secolare dell’energia di certi eventi è spazzata via da quanto sta accadendo negli ultimi anni, un’accelerazione senza precedenti nel riscaldamento globale. Non siamo più di fronte ai fiumi ingrossati che esondano in pochissimo tempo (flash flood), che pure ci erano diventati famigliari, ma di fronte a una impressionante distesa di fango in movimento che ammanta ogni lembo di territorio e si scatena dove trova intoppi o infrastrutture chiaramente commisurate in altri tempi per altri climi. Anche in Spagna si è costruito molto e spesso in aree di pericolosità idraulica, ma le immagini dall’alto dell’Andalusia, specialmente se comparate con quelle delle isole Baleari dell’estate appena trascorsa, permettono di indicare chiaramente che qui caditoie e tombini, pulizia dei fiumi e nutrie c’entrano poco, qui l’unico territorio che c’entra è quello inesplorato in cui ci stiamo addentrando da un punto di vista climatico. Come conferma ciò che sta avvenendo lungo il margine settentrionale del Sahara e nella penisola arabica: alluvioni dovunque, con punte di 200 mm di pioggia in 48 ore per luoghi che ne registravano appena due in mesi. Decine di morti, danni che possiamo già stimare, globalmente, in miliardi di euro che hanno un solo responsabile, le attività economiche dei sapiens che hanno portato al record di concentrazione di CO2 in atmosfera e al record negativo di copertura glaciale sul pianeta Terra. Le notizie terribili che provengono dal clima che cambia violentemente dovrebbero spingere verso un’azione immediata e decisa l’umanità che, invece, continua a cullarsi nell’illusione che sarà il libero mercato a proporre soluzioni, quando è chiaro che è il problema. Il clima non ha confini, a prescindere da chi abbia contribuito di più (e, nel tempo, noi europei siamo senz’altro al primo posto), e necessita accordi internazionali obbligatori, non liberi, con organismi terzi di controllo, non basati sulla fiducia. Non c’è spazio per le vecchie soluzioni di adattamento, perché il clima cambia così velocemente che rischiano di diventare obsolete prima di essere messe in opera. Bisogna agire sulle cause, azzerare le emissioni clima alteranti, ma oggi, non nel 2050, perché non sappiamo come ci arriveremo. E in questa situazione catastrofica dobbiamo ancora perdere tempo con economisti senza scrupoli, pennivendoli della peggior risma, briganti e malfattori, mercanti di dubbi a un tanto al chilo che ci raccontano che, invece, le cose vanno bene e tutto dipende dal Sole o dai cicli di Milankovitch e dunque noi sapiens non possiamo farci un granché. E che Annibale aveva attraversato le Alpi e la Groenlandia era verde: un campionario di sciocchezze smentite dall’intera comunità scientifica di specialisti sul clima. Sulle cause dell’attuale crisi climatica la discussione fra gli scienziati si è chiusa da tempo con l’attribuzione delle responsabilità all’uomo, e si riaprirà solo con nuovi dati. Che al momento non ci sono. Ma restano i negazionisti, quelli che hanno come unico obiettivo prendere tempo per accumulare ancora profitti (questa l’unica ragione). Quando non sono ignoranti sono in malafede, ma comunque sono tutti correi, e a loro vanno assommate le enormi perdite di tempo, i tentennamenti, le incertezze, le politiche di contrasto deboli o inesistenti, così come i danni e le vittime. Almeno avessero, ora, il pudore di tacere.
Mario Tozzi, La Stampa (31/10/2024)
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